Mancanza di organizzazione, attitudini più o meno cautelative dei medici, conoscenza superficiale del paziente possono essere cause (alcune) della disattesa responsabilità circa l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie. Parliamo di prestazioni diagnostiche superflue, che intasano le liste di attesa degli ospedali, o i ricoveri non strettamente necessari, per esempio. A ciò occorre aggiungere la chirurgia a bassi volumi, le prescrizioni di farmaci in luogo dei generici oppure cicli di cura particolarmente costosi somministrati a malati oncologici terminali.
Queste pratiche vanno a svantaggio del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e, a cascata, soprattutto di quei pazienti che necessitano di cure primarie, appartengono a fasce economiche svantaggiate e richiedono vigilanza sanitaria continua, come nel caso delle cronicità o dei cittadini anziani.
L’aumento generale dei costi sanitari, dovuto alla pressione subita in pandemia, ma anche al bisogno di investire in qualità, sicurezza e digitalizzazione, colloca l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie tra le priorità delle politiche sanitarie nazionali, regionali e locali.
Il Rapporto Gimbe1 ha stimato che nel settore Sanità vi sono sprechi per oltre 12 miliardi di Euro all’anno dovuti a inefficienze organizzative e/o mancata appropriatezza delle prestazioni sanitarie. Tutte le strutture sanitarie pubbliche hanno il dovere, dettato dal Ministero della Salute fin dal 1996 con il D.m. Appropriatezza2, di limitare gli interventi medici e farmacologici per:
Pertanto, in questi ultimi anni, sono stati organizzate molte iniziative di promozione e sviluppo del concetto di appropriatezza delle prestazioni sanitarie rivolte agli operatori sanitari. L’ostacolo più difficile da superare, infatti, è la discrezionalità, cioè la valutazione soggettiva del personale medico nei confronti del paziente. Spesso è necessario portare a conoscenza dei medici le motivazioni profonde che hanno portato il Governo a schematizzare i criteri di appropriatezza delle prestazioni sanitarie in maniera così rigida.
Non si tratta solo di ridurre i costi della struttura ospedaliera e dell’intero sistema, benché non si possa negare che questo aspetto abbia innescato il processo di legiferazione, ma di riorganizzare l’intero sistema in un’ottica di sostenibilità, che mira soprattutto ad aumentare l’efficacia dell’intervento sanitario.
Migliorare il livello qualitativo del servizio sanitario e contenere i costi sono i compiti ai quali deve far fronte la Direzione Sanitaria della struttura ospedaliera. Per raggiungere e consolidare questi obiettivi i Big Data aiutano con:
Certamente è necessario che le eventuali soluzioni software siano in grado di estrapolare dati da ogni tipologia di informazione relativa ai pazienti, che si tratti di diagnosi o esiti strumentali, immagini o monitoraggi attraverso i dispositivi weareable. Così, insieme all’analisi dei costi, alla programmazione sanitaria, alla telemedicina, ai modelli predittivi sullo sviluppo di specifiche patologie, un motore semantico trae informazioni sui pazienti e permette di stabilire, attraverso l’analisi dei Big Data, l’appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, non in una logica hic et nunc, ma elaborando l’intera storia sanitaria del cittadino.
In questo momento importante per le tecnologie digitali, sdoganate a tutti i livelli e per ogni attività in occasione della pandemia di Covid19, mentre ogni ente produce miliardi di dati e l’intero settore è impegnato a programmare la propria “digital transition" alla luce delle indicazioni del PNRR, è possibile immaginare che le innovazioni high value siano in grado di risolvere anche il problema dell’appropriatezza delle prestazioni sanitarie.
Un’occasione per il servizio pubblico, ma anche per le strutture private.
1 Fonte: Gimbe
2 Fonte: Gazzetta Ufficiale